Essere in buona salute è qualcosa di più che non avere malattie!
A chi non è mai capitato di sentirsi “un pò giù”, “un pò fiacco”, di accusare qualche doloretto qua e là, di avere difficoltà digestive o gonfiore di pancia, o di essersi alzato da letto più stanco di quando si era coricato?
Sovente questi malesseri scompaiono così come sono comparsi; altre volte persistono o si ripresentano dopo un’intervallo di tempo, ed allora ci rivolgiamo al nostro medico di famiglia, il quale, dopo averci visitato, il più delle volte ci tranquillizza. Anche se, per sicurezza, ci richiede alcuni esami di base.
Svolti gli esami e ottenuto il referto, glielo portiamo e, nella maggioranza dei casi, il Medico ci sorride e ci conferma, con nostro grande sollievo: “Visto? Non ha assolutamente nulla, ora ne abbiamo la certezza al 100%, lei è sano come un pesce!”. Ed effettivamente all’udire quelle parole di rassicurazione, un grande benessere ci pervade ed è facile che perduri a lungo.
Questo schema si può ripetere, in altre circostanze, finchè una prima volta, ahimè, gli esami rilevano qualche scompenso, qualche anomalia; a quel punto il nostro buon Medico ci comunica, attraverso la sua diagnosi, qual’è il problema o la malattia e provvede, opportunamente, a prescriverci la terapia più idonea.
Ci siamo dilungati su questo esempio perchè il nostro Centro da oltre 30 anni concentra una parte importante delle proprie tecniche preventive su quel lasso di tempo in cui abbiamo percepito soggettivamente un sintomo di malessere ma, oggettivamente,attraverso gli esami, non siamo risultati ancora ammalati, ma non siamo neppure più in perfetta salute. E’ come se il nostro organismo, attraverso i suoi meccanismi di difesa psichici e fisici, faticasse più del solito nel contrastare le innumerevoli aggressioni che il vivere stesso inevitabilmente comporta. In un certo senso è come essere “in attesa” di ammalarsi.
Bene, in questa fase ciascuno di noi può fare tantissimo per rinforzare le proprie difese e ripristinare il più a lungo possibile lo stato ottimale di salute. Infatti per godere di una vera buona salute non è sufficiente l’assenza di malattie ma occorre che tutti gli apparati del nostro organismo “funzionino” in modo ottimale.
Per ottenere questo fondamentale obbiettivo occorre potenziare le difese del nostro sistema Immunitario e contrastare in modo decisivo il vero e proprio killer della nostra salute: lo STRESS CRONICO. Insidiosissimo perchè, appunto cronicizzandosi , lo scambiamo per una nostra condizione naturale, addirittura per “il nostro carattere”. Ed è invece una condizione patologica, responsabile prima dello squilibrio psiconeuroimmunormonale che inevitabilmente e, sovente, silenziosamente danneggia la nostra naturale omeostasi. Oltre ad accompagnarsi, ovviamente, a tutti i disturbi psichici: dalla Depressione, agli Attacchi di Panico, dalla Bulimia alla Anoressia ecc, senza trascurare l’Ipocondria cioè la paura di ammalarsi. Affermava Marcel Proust “…quell’agente patogeno mille volte più virulento di tutti i microbi, l’idea di essere malati”.
Sulla base di questi presupposti non meraviglia quindi che tra i pazienti che si rivolgono al Medico di Medicina Generale un buon numero lamenti disturbi di complesso inquadramento diagnostico che non rispondono in modo adeguato alle terapie classiche. E siamo stati ben lieti quando, qualche anno fa, uno dei più eminenti Clinici il Prof. Leo Nahon (Direttore della struttura complessa di Psichiatria al Niguarda) abbia affermato che “studi scientifici tra i più attendibili abbiano recentemente dimostrato come circa il quaranta per cento di sintomi quali Artromialgie, Gastralgie, Disturbi dispeptici, Dolori pelvici, Cefalee, Astenia, Precordialgia, Disturbi dermatologici e sessuali, Irregolarità mestruali siano in realtà equivalenti depressivi in pazienti definibili come depressi mascherati”.
Riportiamo qui di seguito un esperimento, scelto tra le migliaia a disposizione della comunità scientifica , che attrasse la nostra attenzione nei lontani anni ’70, ( anche se si svolse vent’anni prima!), per le implicazioni che già allora avrebbe dovuto comportare circa la relazione esistente tra stress/mente/corpo/patologia somatica. Mentre nessuno (o quasi) sembrava rendersene conto.
In un lontano giorno dei primi anni ’50, lo studioso statunitense di etologia, professor John B. Calhoun, decise di investigare il “comportamento individuale e sociale di una qualunque colonia animale costretta a vivere a lungo (per tre generazioni) in condizioni di superaffolamento”. In un granaio di Rocksvillle costruì tre unità “abitative ” di 3×4,2 metri ciascuna, osservabili dal soffitto sia di giorno sia di notte. In ognuna di queste collocò ratti maschi adulti e femmine gravide, lasciandoli proliferare fino a raggiungere le 80 unità (il doppio della densità normale), rimuovendo di volta in volta le eccedenze numeriche e badando bene di assicurare acqua,illuminazione e massima disponibilità di cibo. In qualche modo si trattava di vedere se e come lo “stress” da accresciuta densità demografica inducesse rilevanti cambiamenti. I risultati andarono ben oltre le aspettative e Calhoun ebbe modo di assistere a imprevedibili e sconvolgenti modificazioni non solo di numerosi parametri comportamentali, ma altresì dello stato di salute degli animali in osservazione. Le abitudini sessuali dell’affollata colonia di roditori vennero sovvertite: solo alcune eccezioni, rappresentate dai maschi dominanti (tre in tutto), mostrarono una condotta normale nel corteggiamento e nell’attività sessuale, mentre tutti gli altri esprimevano indifferenza o totale passività, se non addirittura vere e proprie “perversioni” (dall’erotismo di gruppo all’omosessualità).
La costruzione del nido, una delle attività a cui la femmina gravida dedica particolari attenzioni, era pressochè abbandonata: i “nidi” erano costruiti in modo approssimativo, caratterizzati da un’elevata disorganizzazione strutturale e offrivano ben poco, in termini di protezione e riparo, ai nuovi nati, che si trovavano esposti alle razzie dei ratti giovani e finivano con il morire molto precocemente e in maggior numero rispetto a quanto avviene in natura. Infine, il territorio, che nelle consuete colonie di roditori è soggetto a pianificazione, presentava uno stato di anarchia diffusa, con scomparsa di stabili relazioni gerarchiche, sostituite da “guerriglie” permanenti tra i pochi maschi dominanti e le bande, sempre mutevoli e disordinate, dei giovani: veri e propri “teppisti”, disturbatori della vita di comunità. Ma, soprattutto, ciò che stupì l’etologo fu il constatare un’elevata presenza di morti per malattie cardiovascolari e neoplastiche, queste ultime praticamente assenti nello stesso ceppo animale tenuto allo stato selvaggio.
L’esperimento di Calhoun evidenziava che una situazione stressante come l’affollamento poteva indurre trasformazioni impensabili nel comportamento dell’animale e, cosa davvero sorprendente, incidere drammaticamente sullo stato di salute.
Questi dati riconfermano l’importanza di quanto, decenni prima, Cannon e in seguito Seyle avevano detto e scritto in merito alla cosiddetta reazione da stress.